ENPAP e Maternità

Speriamo che sia femmina?

di Chiara Santi e Stefania Vecchia

Attenzione: Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!

La nostra professione è composta principalmente da donne. Nell’ambito della psicologia circa l’80% dei professionisti è femmina. L’importanza di riconoscere e valorizzare il nostro ruolo all’interno dell’ENPAP è oggi più attuale che mai, dato che fra pochi giorni dovremo scegliere nuovi rappresentanti per la cassa di previdenza.

E’ evidente a tutti – be’, forse più alle donne  –  come questa preponderanza abbia un peso notevole sulla gestione della professione. Eppure, la maggioranza dei rappresentanti istituzionali in psicologia è uomo. Questo si rifà anche ad una tendenza culturale italiana purtroppo dura a morire per cui, in politica (e quella professionale non fa eccezione), le donne tendono a votare gli uomini.

Ci sarebbe lungamente da discutere in merito alla visione maschiocentrica (se non vogliamo dire “maschilista”) di una cultura che s’insinua sottopelle tanto da far diffidare le donne dalle rappresentanti del loro stesso sesso, ma questo esce dai limiti di quanto ci interessa in questo articolo.

Tuttavia, è necessario sottolineare come da una rappresentanza ampiamente maschile discende, quasi a corollario, una conseguenza evidente: le politiche specifiche per le donne vengono ignorate, nonostante siano politiche che andrebbero a favore di una netta maggioranza dei colleghi. Non per cattiveria o ignoranza, crediamo, quanto proprio per un fatto abbastanza “naturale”: gli uomini faticano più di noi ad avere in mente i problemi e le difficoltà specifiche delle donne. Ciò richiederebbe un’apertura mentale e culturale che oggi, in Italia, è ampiamente insufficiente.

Il risultato è che appare più facile pensare a servizi ed assistenza utili per la terza età che per le donne, fascia percentualmente molto ridotta nella nostra categoria.

Il compito di un’istituzione come l’Enpap è venire incontro il più possibile alle esigenze di ogni gruppo di colleghi che rappresenta: giovani/anziani, stabili/precari, maschi/femmine, e così via. Verrebbe quindi normale pensare che la priorità di scelte e attenzioni sia orientata verso appositi servizi dedicati ad una fascia altissimamente rappresentata, cioè quella femminile.

Così non è. Quindi, si può fare molto di più.

Come Altra Psicologia e, in particolare, come donne rappresentanti di Altra Psicologia, abbiamo particolarmente a cuore la situazione delle colleghe che sappiamo bene essere di particolare fragilità all’interno di una professione che, già in assoluto, evidenzia molte difficoltà.

Le donne in generale – e la nostra professione non fa eccezione – guadagnano meno a parità di condizioni di lavoro (e questo vale anche per quello libero professionale); oltre a questo, subiscono un carico nettamente maggiore in merito a cura di figli e famiglia. Sono impegnate su più fronti, ricevendo meno aiuti su ciascuno di essi.

Per questo, occorre riservare un’attenzione particolare alle nostre colleghe  in merito alle attività che, all’Enpap, potrebbero essere loro dedicate. Il primo passo è aumentare la rappresentanza femminile negli organi istituzionali, ma questo non basta se, ad un aumento della stessa, non corrisponde una crescita dei servizi dedicati alle donne, del pensiero sulla donna.

Sul fronte Maternità

Al momento, l’unica prestazione specificamente a favore delle colleghe è la corresponsione dell’indennità di maternità, che non è certo un’idea originale dell’Enpap e dei suoi organi consiliari, quanto un dovere di legge previsto dal Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e successive modifiche ed integrazioni apportate dalla legge 15 ottobre 2003 n. 289. Come tale, vi sono anche alcuni limiti da rispettare, ma non così rigidi da impedire una variabilità che venga incontro alle esigenze specifiche della nostra popolazione professionale.

In base a quanto ci è stato più volte riferito in comunicazioni alla nostra associazione, infatti, i tempi di erogazione del contributo di maternità sono spesso insensatamente lunghi e non in linea con le esigenze della futura madre. La collega che va in maternità necessita di soldi da subito, cioè da quando è obbligata ad interrompere il suo percorso lavorativo, e non molti mesi dopo quando, presumibilmente, ha ripreso la sua attività.

Consideriamo, infatti, che il nostro lavoro solitamente non permette lunghe assenze sia perché la libera professione in assoluto richiede mantenimento di contatti sufficientemente continuativi nel tempo sia perché l’attività più esercitata è quella clinica, che non può certo essere abbandonata per periodi troppo prolungati. E’ evidente, quindi, che il momento più delicato sono i primi 3-4 mesi dopo il parto, quelli in cui, con più probabilità, la madre non lavora per nulla. La mancanza totale di un’entrata economica proprio nei giorni di maggiore necessità diventa una vera assurdità, nella nostra specifica condizione.

Sarebbe quindi auspicabile un avvicinamento dei tempi di erogazione al momento della effettiva interruzione del lavoro o comunque non oltre i due mesi dalla ricezione in Enpap della comunicazione da parte dell’avente diritto.

Sul fronte Assistenza

Dalle condizioni particolari delle donne libere professioniste può derivare anche la necessità di assicurazioni sanitarie più idonee alle esigenze specificamente femminili. Non solo la condizione femminile pone la donna in una situazione più complessa rispetto al lavoro (assenze più prolungate e frequenti per seguire i figli ammalati, ad esempio), ma determina anche più frequentemente malattie che vanno assolutamente tutelate nell’assicurazione, la quale non dovrebbe avere vincoli particolari proprio nelle patologie più a rischio per la donna.

In questo senso, giusto per fare semplici esempi, potrebbe essere utile svolgere una valutazione sulle patologie o gli esami più ricorrenti nella popolazione femminile e valutare assicurazioni sanitarie integrative che li includano nel check up di prevenzione: non solo pap test, ma tutta una serie di accertamenti ricorrenti per una donna o che non prevedano, a differenza di quella attualmente in essere, vincoli di esclusione alle visite pediatriche.

Servizi su misura per le donne

Sempre seguendo il principio di peculiarità e specificità della condizione femminile, sarebbe necessario pensare a servizi utili per il nostro genere; pensiamo a convenzioni con asili nidi, ad esempio, ma anche consultori familiari privati, associazioni di baby sitting, ricoveri per anziani (la cui assistenza è più spesso a carico delle donne della famiglia).  Servizi che, pur pensati specificamente per la popolazione femminile, non per questo escludono sempre e comunque quella maschile ma, al contrario, vanno spesso anche a suo beneficio.

L’idea di “tagliare su misura” l’intervento può essere ripresa per ogni singolo settore che sia particolarmente rappresentato nell’Enpap. Personalizzare le azioni sulla propria popolazione professionale è un modo per prendersi cura di essa ed è quanto ci ha sempre distinti come associazione.

Pensare declinando al femminile non rappresenta un modo per escludere la popolazione di colleghi maschili, ma certamente un nuovo atteggiamento improntato ad un’azione istituzionale che tenga conto delle specifiche e differenti esigenze delle varie fasce di popolazione più rappresentate nella nostra Cassa. Come Altra Psicologia abbiamo sempre sostenuto l’utilità di un Ente pensionistico che offra servizi e adatti le proprie forme di intervento a seconda del target di riferimento. Il fatto che, ad oggi, ancora nessuno abbia pensato a servizi e prestazioni per donne, ci fa capire che è ora di sfruttare questa potenzialità.

Per noi le persone non sono solo un numero,

e lo dimostriamo continuamente.

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6 Risposte a “Speriamo che sia femmina?

  • Forse sarebbe il caso di calibrare anche il linguaggio e definirci e/o essere definite donne e non femmine…

  • Sinceramente mi vengono in mente una serie di domande tipo:perchè le colleghe psicologhe si trovano uomini che le trattano da serve e generatrici di figli?Questa visione della donna che da sola deve provvedere alla famiglia,ai figli ecc. pare sia un’idea (e un ruolo) che le stesse donne fan fatica ad abbandonare.E poi se proprio devono fare tutto ciò non è paradossale mettersi pure nelle istituzioni?Insomma..
    A me personalmente poi non sta nemmeno bene di pagare una maternità di cui io non usufruirò mai (come della stessa pensione in chissà quale futuro…).
    Visite specialistiche più specifiche?E’ solo una questione di “cura” e in questo ambito si sa chele donne sono più furbe degli uomini; questo a dire che alle colleghe donne dovrebbe venire in mente che anche gli uomini dovrebbero farsi controlli più specifici da una certa età ma sono di certo più pigri e menefreghisti (e meno sintomatici purtroppo).
    Non sono certo a sfavore delle donne in qualunque istituzione mondiale ma non mi sta bene leggere queste idee retrograde, partorite da donne stesse che sembran messe li per aizzare una fetta consistente di votanti.
    Cordialmente

    • 1) anche i padri dovrebbero poter chiedere un contributo genitorialità.
      2) sostenere “se non partorisco perchè devo pagare il contributo maternità” è IDIOTA come sostenere “se non ho un tumore o una malattia invalidante perchè devo coprire la malattia di chi è iscritto all’enpap?”.
      Scusa Mariano ma non riesco a trovare altro aggettivo

    • Vede Mariano,

      io credo che molti passaggi del suo intervento siano critici e criticabili. Mi limito a segnalare che il mondo intero si sta muovendo nell’ottica di personalizzare gli interventi previdenziali e assistenziali in base alle effettive caratteristiche delle persone iscritte alle gestioni.

      Quindi, non si tratta di una questione di uomini/donne, ma di riconoscere le specificità della popolazione della nostra cassa.

      Che poi in Italia perduri una visione medioevale per cui tutto si deve modellare attorno al maschio dominante, è cosa con cui purtroppo dobbiamo lottare ogni giorno. Ecco, Altrapsicologia vuole dare il suo piccolo contributo alla causa, ricordando che siamo ormai nel terzo millennio.

  • Gabriele Raimondi
    12 anni fa

    “Pensare declinando al femminile non rappresenta un modo per escludere la popolazione di colleghi maschili, ma certamente un nuovo atteggiamento improntato ad un’azione istituzionale che tenga conto delle specifiche e differenti esigenze delle varie fasce di popolazione più rappresentate nella nostra Cassa.” Mi riconosco pienamente in questo pensiero, nel quale colgo la capacità di essere comunità ponendo la capacità di tutti di rispondere alle esigenze specifiche dei singoli. Mi piace un ENPAP così.

  • Luca Pezzullo
    12 anni fa

    Da psicologo maschio, ma sposato con una collega (:-D), condivido ed apprezzo la riflessione di Chiara e Stefania.

    Abbiamo bisogno di parametrizzare le forme di assistenza rispetto a quelle che sono le reali esigenze delle varie componenti demografiche della categoria, in primis quella femminile e quella giovanile, oltre a quella dei “pensionati con montante ridotto”, che dovrebbero ricevere quanto meno in servizi e assistenza quel sostegno che non ricevono come pensione…

    Ma, per tornare al merito dell’articolo, credo che la specifica attenzione a quell’80% della categoria sia proprio necessaria.

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